Lettera al futuro psicoterapeuta

Cara e caro collega,
se stai pensando a quale identità dare alla tua professione e se stai ragionando intorno all’idea di occuparti di clinica, di psicoterapia, lavorando quindi con singoli, gruppi o istituzioni in sofferenza, ti chiediamo di prestare attenzione a queste poche righe, con l’auspicio che ti possano essere utili. Che ti possano aiutare nel tuo faticoso discernimento.
Partiremo dalla nostra esperienza di clinici che hanno voluto mettere a disposizione di una Scuola di formazione in psicoterapia la loro lunga esperienza con la sofferenza.
Ma è bene anzitutto presentarsi: siamo un gruppo cospicuo di docenti, universitari e non, accomunati dall’essere tutti impegnati nel campo clinico. Molti di noi hanno avuto una formazione come Analisti Transazionali, una teoria e, soprattutto, una metodologia creata da Eric Berne, uno psichiatra che ha avuto come Maestri gli psicoanalisti P. Ferdern ed E. Erikson e che, in prima istanza, ha cercato di diventare e di essere uno psicoanalista. Dopo lunghi anni di studi e tentativi, ha inventato un suo singolare approccio, l’Analisi Transazionale, che forse porta già nel nome tanti anni di sperimentazione clinica e approfondimento.
A partire da questa esperienza comune, abbiamo voluto e dovuto rimettere in questione quest’appartenenza anche a fronte dei dati, imponenti, che ci provengono dalla clinica: i sintomi si stanno evolvendo e mutando, come i virus e i batteri. Siamo quindi immersi in un costante percorso di studio e di dialettica con le teorie e le metodologie che insegniamo, come attenti immunologi.
Capiamo che ti trovi di fronte ad una scelta impegnativa in termini di costi e di tempo.
Tutti noi proveniamo da una formazione lunga di anni, passati al cospetto di libri, letture e confronti sistematici con i nostri Maestri che, con il tempo, ci hanno passato il loro sapere artigianale. Siamo consapevoli di quanto oggi, l’atmosfera contemporanea, quella socio-economica, remi nella direzione di realizzare i propri obiettivi tenendo conto dei costi e di un tempo che deve essere il più breve possibile.
La proporzione costi-tempi-benefici è diventata un sinonimo di efficienza, un nuovo nome della modernità.
Permettici di dirti e di aiutarti a riflettere su quanto sia rischioso applicare questi parametri alla soggettività umana. Già i greci avevano colto e diviso il tempo in quello cronologico e in quello opportuno (kairos), per dirci che possiamo metterci d’accordo su un appuntamento, darci un orario, ma non è detto che a quell’ora avvenga ciò che ci aspettiamo. La clinica, che pratichiamo con costanza e passione, ci insegna tutti i giorni ad attendere che maturi il tempo opportuno per il cambiamento e questo tempo è spesso inatteso, insondabile, imprevedibile.
Una clinica la nostra che, dall’esperienza sul campo, ha colto quanto la soggettività umana rifugga dalla pretesa di oggettivare temporalmente e cronometricamente il cambiamento a partire da un tempo e da un protocollo deciso a monte dalle teorie.
Ci sono, cara e caro collega, numerose ricerche cliniche che saremmo lieti di mostrarti a sostegno di questa tesi, consapevoli, tuttavia, che il mainstream attuale reciti e pubblicizzi interventi miracolosi di guarigione attraverso protocolli e metodologie che prevedono un numero d’incontri delimitati. Sirene queste che, lo capiamo, possono incontrare quella brevità che il consumatore finale, il paziente, si attende per uscire dalla sua sofferenza e che l’operatore della salute sposa nel tentativo di essere sempre più efficace ed assicurarsi il futuro lavorativo. Non disdegniamo questa propensione, ed anche noi lavoriamo, attraverso il nostro Centro Clinico – nel quale iniziano la loro esperienza pratica gli allievi del terzo e del quarto anno –, affinché la clinica sia “sul pezzo”, quindi incisiva, rapida e allo stesso tempo profonda e duratura. La velocità può essere coniugata con la profondità e dunque con la stabilità duratura delle trasformazioni sollecitate.
Pratica, teoria e ricerca sono i tre campi, i tre anelli indissolubili del nostro insegnamento. Se se ne scioglie uno, anche gli altri due non trovano più la ragione per sussistere.
Se sei arrivato a questo punto e non hai cestinato la nostra lettera, sentiamo che abbiamo qualcosa in comune ed adesso desideriamo darti un breve cartello, scrivendo a cuore aperto ciò che la nostra scuola non è in modo da evitarti almeno un open day, il nostro:
  • a) La nostra Scuola non è un insegnamento nel senso classico del termine: non troverai un’esegesi ripetitiva e, permettici, stanca e stancante delle teorie e delle metodologie da applicare come un meccano. Pensiamo che il soggetto sia resistente all’essere definito dalle maglie circoscritte di un modello. Per questa ragione, a partire dalla teoria che accomuna i docenti di questa Scuola, l’Analisi Transazionale, abbiamo rimesso in questione i suoi fondamenti utilizzando, a tal fine, autori e teorie anche molto lontane da quelle del nostro fondatore, ma mantenendone la traiettoria. B. Spinoza, G. Deleuze, J. P. Sartre, S. Freud, J. Lacan, M. Recalcati, D. Anzieu, A. B. Ferrari, W.R. Bion. sono i nostri GPS, quelli che ci hanno aiutato a capire dove siamo collocati e dove ci troviamo. La nostra Scuola non affastella modelli, non li integra a tutti i costi. Sa quanto sia importante e necessario mantenere una distanza, una faglia che permetta alla luce di passare e, quindi, mantenere vivo il dialogo e la differenza. Solo da questo terreno può generarsi conoscenza.
  • b) La nostra Scuola non è per coloro i quali ritengono che l’analisi personale non sia utile per esercitare la professione di psicoterapeuta in quanto per curare basta possedere una cassetta degli attrezzi ben fornita, come recitano un po’ ovunque formatori di ogni sorta. A costoro diciamo che gli attrezzi servono ed è meglio averne tanti, ma bisogna anche sapere come utilizzarli, dove utilizzarli, con chi e quando. Non esistono, a nostro umile giudizio, chiavi universali e il soggetto umano non è un bullone da avvitare, ma un incontro da creare. Il terapeuta saprà trattare, avvicinare e creare un legame con quelle sofferenze che lui stesso ha contattato e visto su di sé.
  • c) Questa Scuola non è per coloro i quali pensano che lo studio fatto all’università sia sufficiente e basti partecipare, passivamente, ad un’aula di formazione e leggere delle slides per adeguare e aggiornare le proprie conoscenze. Noi continuiamo a pensare che per praticare eticamente la professione di psicoterapeuta siano indispensabili i seguenti aspetti: l’esperienza clinica, lo studio, il confronto con altri colleghi, l’analisi personale. E questo l’abbiamo appreso dai nostri Maestri, dai pazienti e dai nostri studenti, la nostra vera bussola.
In ultimo permettici di dirti per chi è questa formazione.
Essa è per coloro i quali pensano che il concetto di transfert non sia stato risucchiato da quello di empatia, così come il desiderio da quello di bisogno, il setting da quello di alleanza e che la comunicazione abbia solo in parte a che vedere con il linguaggio.
Ancora… è per coloro i quali pensano che l’inconscio sia un’ombra che continui a scriversi parallelamente ai processi coscienti e cognitivi solo che, a mezzogiorno, coincidendo con il corpo, essa non si vede, come ci ha insegnato F. Nietzsche. Ma esiste ed è riconoscibile.
Se ci hai letto fino in fondo, ti auguriamo e ci auguriamo che queste brevi righe ti abbiamo almeno stimolato a fare una scelta consapevole, meno orientata dall’economia e dalla brevità del tempo, due motivi che, a nostro parere, devono quotare meno in questa tua imminente scelta.
La SSPIG, una Scuola non come le altre.
A nome di tutti i Docenti della SSPIG
Il Direttore,
Emilio Riccioli

Il Direttore SSPIG, Emilio Riccioli

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